A cura della dott.ssa Mara Corallini – pedagogista

Grazie al processo di sintonizzazione il bambino può imparare il circolo dell’espressione dei suoi“bisogni autentici”, che consiste nel:

1) sentire il proprio bisogno in termini fisici e tradurlo in una rappresentazione mentale (es. dai crampi della fame all’idea di desiderare il latte);
2) esprimere il bisogno in un appello per il genitore (es. pianto);
3) ricevere risposta al proprio bisogno (essere allattato) mediante il coinvolgimento affettivo dell’adulto (rispecchiamento, coccole, …).
4) ristabilire il senso di benessere.

Se il bambino può contare su adulti che sono effettivamente disponibili nel garantirgli che il circolo si completi con successo allora diverranno per lui degli adulti speciali, verso i quali stabilirà una relazione unica, che J. Bowlby ha chiamato “legame di attaccamento sicuro”.
La sicurezza proviene dal fatto che il bambino, grazie al bagaglio di esperienze fatte con i suoi adulti significativi, si aspetta di ricevere tutto ciò di cui ha bisogno e questo lo fa sentire sicuro di ciò che sente, chiede e riceve, ovvero sicuro di sé ma anche del mondo sociale che lo circonda. Il bambino infatti, impara a trattare sé e gli altri a partire da come si è sentito trattare lui stesso dalle sue figure di accadimento, ovvero interiorizza le modalità caratterizzanti la relazione che ha avuto con le sue figure di accudimento. Anche in questo caso la prevedibilità è di fondamentale importanza per il bambino.
Non a caso un “buon” attaccamento, ovvero un attaccamento “sicuro” è il fattore di protezione più importante per un sano sviluppo del bambino, che può così costruire dentro di sé un “Modello Operativo Interno” equilibrato, sicuro. Questo Modello Operativo Interno si origina dall’interazione complessa di fattori genetici, epigenetici, ambientali, sociali e culturali. I genitori giocano un ruolo davvero importante in tutto questo, poiché sono i primi mediatori delle esperienze del bambino. Il genitore è per il bambino il punto di riferimento da cui partire e a cui tornare nel suo percorso di scoperta di sé e del mondo fisico e sociale. Il genitore, attraverso i suoi interventi, media l’esperienza che il bambino fa del mondo e quindi l’idea che ne ricava, sia dell’ambiente che di sé.
L’attaccamento si realizza mediante due dimensioni che sono tra loro collegate: il “bisogno di esplorazione” ed il “bisogno di riavvicinamento”. Per il bambino che desidera esplorare il mondo, il genitore rappresenta la “base sicura” da cui partire, mentre al termine del giro esplorativo il genitore rappresenta invece il “porto sicuro” a cui tornare per fare rifornimento prima di ripartire per una nuova esplorazione. Per poter costruire un legame di attaccamento sicuro il bambino necessita di equilibrio e circolarità tra queste due dimensioni.
Del bisogno di esplorazione fanno parte tutte quelle esperienze di “assaggio e conoscenza” del mondo fisico e sociale, come il nutrirsi, lo svezzarsi, l’imparare a camminare, il giocare, il socializzare, l’imparare a parlare, ….; mentre nel bisogno di riavvicinamento rientrano invece tutte le esperienze di conforto, rassicurazione e nutrimento affettivo indispensabili affinché il bambino si ricarichi e sia pronto per allargare ulteriormente la successiva esplorazione. Quando il genitore è disponibile sia come base sicura che come porto sicuro allora il bambino sperimenta un senso di sicurezza che lo sostiene nel processo di crescita e autonomizzazione.
Il genitore si pone come “base sicura” se supporta il bambino nella sua spinta naturale adesplorare, incoraggiandolo a provare, vegliando su di lui affinché l’ambiente sia sicuro (proporzionato alle sue competenze) e sostenendolo a continuare anche di fronte alle difficoltà, coinvolgendosi in modo piacevole nelle attività con lui, offrendogli feedback positivi e utili. Se il genitore riesce ad essere sufficientemente sicuro nel fare ciò al bambino giungerà il messaggio che esplorare il mondo è un’avventura entusiasmante e avrà voglia di ripeterla ancora e quando sarà stanco si avvierà al riavvicinamento al genitore per poter fare “rifornimento” affettivo.
Il genitore si pone come “porto sicuro” se è disponibile e pronto a ri-accogliere a sé il bambino quando egli ne manifesta il bisogno, offrendo protezione, conforto e aiutandolo a regolare i sentimenti, trasmettendo fiducia nelle sue capacità.  Quando il genitore riesce a porsi come porto sicuro, al bambino giunge il messaggio che qualsiasi cosa accada, sia che si tratti di semplice stanchezza o che si tratti di un’emergenza, avrà sempre un aiuto che lo rigenererà, e quindi potrà stare tranquillo e ripartire presto per nuove esplorazioni.
A volte può accadere che le istanze di esplorazione e riavvicinamento non siano ben bilanciate: il bambino sembra allora insicuro o rigido nell’esplorazione oppure eccessivamente autonomo e
indipendente dal genitore. Ciò che in realtà accade, ma che non è immediatamente visibile, è che il genitore può non aver colto i segnali di bisogno del bambino, scoraggiandone inconsapevolmente l’espressione. I bambini sono infatti molto sensibili e veloci nel sintonizzarsi sull’atteggiamento dell’adulto di fronte alle loro esigenze.
Se per un adulto il fatto che il bambino esplori è motivo di preoccupazione perché teme possa farsi male, il bambino lo coglierà, adeguandosi in fretta, cercando di restarne aggrappato ad esso, sviluppando una dipendenza che ostacola l’esplorazione autonoma, ma soprattutto rinunciando a mostrare i segnali del suo bisogno di esplorazione. Il genitore vedendo che il bambino è restio ad esplorare può assecondarlo rinforzando così l’inibizione ad esplorare.
Può accadere anche che il genitore stimoli invece il bambino ad un’autonomia precoce, scoraggiando inconsapevolmente il riavvicinamento in favore dell’esplorazione; in questo caso il bambino può decidere di mascherare i bisogni di conforto o di aiuto, mostrandosi più autonomo di quello che invece sarebbe. Anche in questo caso il genitore vedendo il bambino così autonomo potrebbe attivarsi meno sul piano del riaccoglimento, rinforzando così quest’atteggiamento.
In entrambi i casi al genitore sembra proprio che sia il bambino a non voler esplorare o ad essere iper-autonomo. Se la tendenza diviene costante, i bambini che rinunciano ad esplorare manifesteranno problemi al distacco dal genitore ed insicurezza generale, mentre quelli che evitano di ricercare il porto sicuro è probabile che mostrino una falsa sicurezza, fino a irrigidire lo stile esplorativo.
Grazie alla funzione riflessiva i genitori possono intuire l’esistere di un blocco alla circolarità delle due funzioni di esplorazione e riavvicinamento, ponendovi rimedio, ma spesso è utile anche farsi aiutare da persone esterne come il pediatra, le educatrici del nido o figure specializzate (psicologi, pedagogisti), che essendo esterni alla dinamica possono più facilmente cogliere l’incastro che origina e mantiene il blocco. E’ normale che vi sia una certa dinamica, l’importante è che il genitore ripari la sintonizzazione.
Una buona prevenzione per favorire attaccamento sicuro è dunque allenarsi a cogliere i micro segnali – anche non verbali – che i bambini danno dei bisogni di esplorazione e riavvicinamento. E’ infatti possibile imparare ad osservare l’attività dei bambini per coglierne i segnali di passaggio dalla fase esplorativa a quella di riavvicinamento, imparando così a modulare il supporto educativo in modo caldo e responsivo.
Ciò comporta anche l’auto-osservazione, al fine di cogliere l’impatto che il proprio agire educativo ha sul bambino. La relazione educativa è sempre una relazione comunicativa bi-direzionale, in cui educando si  viene educati, ma solo lo sforzo di mantenerne consapevolezza consente all’adulto di porsi come fonte di sicurezza.