A cura della dott.ssa Mara Corallini – pedagogista

Dice Daniel Stern nel suo libro Nascita di una madre: “alla nascita fisica del bambino corrisponde lanascita psicologica della madre, che nella propria mente da origine non ad un altro essere umano, bensì aduna nuova identità: il senso dell’essere madre”. E vale anche per i papà. Questo passaggio di identità coincide in parte con lo sviluppo della funzione genitoriale, che in realtà affonda le radici nell’esperienza dell’essere stati figli e prosegue per molto tempo dopo essersi assunti la responsabilità della cura di qualcuno.

Questa transizione di ruolo è ben descritta anche da Alba Marcoli in Passaggi di vita, dove affermache il passaggio alla dimensione genitoriale comporta un tempo necessario per riconquistare un adattamento, che P. Racamier chiama “il tempo della crisi”. Questo è il tempo necessario per costruire una nuova identità oltre che un nuovo legame con il figlio che è arrivato. Ma non è il tempo da solo che porta fuori dalla crisi, bensì il lavoro compiuto dal nostro “Io” attraverso il tempo; dapprima avvertendo la sensazione che qualcosa è cambiato per sempre, irreversibilmente, poi accettando che qualcosa si perderà e qualcosa di nuovo si conquisterà. In questo tempo di rielaborazione e di ristrutturazione personale è fondamentale avere vicino qualcuno che riesca a vedere al di là del tunnel, poiché ancora non si possiede un bagaglio di esperienze che accompagnino in modo rassicurante le svariate sensazioni che si vanno via via provando. E’ solo attraverso le piccole ed inevitabili crisi quotidiane che il bagaglio si potrà costruire, e mai come in questo periodo le neomamme ed i neopapà hanno bisogno di un supporto esterno, dalle persone che hanno intorno. Di solito sono i propri familiari, ma se questi non possono essere, vanno bene anche altre figure come gli amici e nuove figure che possono aggiungersi alla cerchia delle persone importanti.

La nascita, come l’adozione o l’affido, comportano per il singolo individuo l’apertura del “sé” al “sé  con  l’altro”, in una dimensione ben diversa da quella sperimentata con il partner; è un “noi” che apre ad una circolarità relazionale diversa; infatti, parallelamente a questa trasformazione interiore del singolo, con l’arrivo di un figlio anche la coppia deve affrontare il passaggio dalla dimensione “a due” a quella a “a tre”.
Ma a ben guardare c’è di più: in quel “noi” è compreso non solo il neonato ma anche il senso di appartenenza ad un gruppo, una comunità. Con l’arrivo di un bambino è quasi impossibile restare isolati dagli “altri” perché il lavoro di cura di un bambino è molto impegnativo e richiede l’aiuto di altre persone. L’arrivo di un figlio porta con sé l’intessere e l’intrecciarsi di nuovi e vecchi legami: tutto si trasforma.
In tal senso i gruppi per genitori, in quanto “spazi d’incontro”, rappresentano uno strumento prezioso per la promozione del benessere familiare e la prevenzione del disagio, specie quelli che hanno per oggetto la relazione genitori-figli. È da questa relazione infatti che, come tutti i cuccioli, anche i bambini imparano per modellamento gli strumenti che avranno a disposizione per affrontare la vita.
I gruppi di genitori aiutano “a dire e a condividere” e in questo lavorio nasce la consapevolezza educativa. I gruppi infatti, forniscono quel “rispecchiamento collettivo” che dà sicurezza ai neogenitori, attraverso un processo molto simile a quello che avviene tra genitori e figli. Essi sono – per parafrasare A. Marcoli nel suo libro La rabbia delle mamme, – laboratori fertilissimi di ricerca su tutti i temi importanti del vivere e la loro valenza consiste nel:

  • Diminuire il senso di solitudine con cui spesso viene vissuto inizialmente il passaggio al ruolo genitoriale, attraverso il conforto di sentire che “si è tutti sulla stessa barca”;
  • Modellare all’ascolto e alla comprensione reciproca piuttosto che al giudizio critico, migliorando le competenze comunicative;
  • Arricchire e modificare delle immagini mentali relative a sé, ai figli, ai concetti educativi, sperimentando la possibilità di cambiare punto di vista sulle cose, cogliendo le varie e possibili sfaccettature della realtà;
  • Sostenere nel difficile compito di saper restare nell’incertezza e nel dubbio, nell’imparare ad accogliere il proprio e l’altrui limite umano;
  • Acquisire maggiore capacità di gestire i processi di definizione di sé  e separazione dagli altri.

Nel percorso che una persona compie dall’essere figlio al costruire in sé uno spazio per la genitorialità,l’apertura alla relazione con l’altro è fondamentale; molto del lavoro psicologico consiste nel ridefinire confini e trovare la giusta distanza tra sé e tutti gli “altri significativi”, presenti, passati e futuri. Imparare a tener presenti i bisogni propri e quelli dell’altro. Tutto questo non lo si può imparare da un libro, ma solo vivendolo nella relazione, attraverso la relazione, con pazienza, accettando di sbagliare e provando a fare meglio.
E’ dalla relazione che possiamo imparare la cura.